giovedì 17 gennaio 2013

le luci le ombre


Se penso all’immagine delle donna nella tv americana e a quella della donna nel tv italiana, le due immagini non si sovrappongono mai.
Reality shows e silicone nascono in America, eppure qui le “donne della tv” sono riuscite a guadagnarsi uno spazio di credibilità mediatica mai oscena e soprattutto mai accessoria. Come? Forse, a guardar bene, tra reality shows e silicone, anche i movimenti di emancipazione femminile di metà novecento nascono in USA. E’ un problema di luci e di ombre, dove il “chi oscura cosa” diventa chiave di lettura.
L’America ha Barbara Walters, mostro sacro del giornalismo, ancora diligentemente in onda con “The View” dall’alto dei suoi ottanta e passa anni; ha Candy Crowley, conduttrice della CNN e mediatrice del dibattito presidenziale; ha Robin Roberts che da il buon giorno ogni mattina con “Good Morning America”; ha Oprah Winfrey, regina del talk show, con un impero mediatico e ben pochi tabù.
L’America ha anche altre donne, come le conigliette di playboy o le sorelle Kardashian. Ma laddove la varietà d’intrattenimento è rispettata, le prime fanno ombre alle seconde, la cui voce non ha eco.
In Italia accade in parte il contrario. Sono veline e soubrette, con stacchetti e scosse vertiginose ad adombrare le giornaliste che fanno informazione e denuncia. 
La loro voce non ha eco.



sabato 15 dicembre 2012

Questo Abominevole Ordine Naturale delle Cose


La prima orrenda sensazione che ho sentito dopo aver letto il primo messaggio era di una dolorosa, indegna “abitudine”, quasi “richiesta”, domandata per poter vivere in America.  Una condizione cui dover sottostare, un pegno.
Quel messaggio era così semplice da sembrare consuetudine: “Hai sentito della strage nella scuola?” come dire “adesso non posso” o “ti chiamo piu’ tardi”.
E’ successo di nuovo.
Il primo alert della CNN, ricevuto poche ore prima, in una mattina intensa di lavoro, aveva catturato l’attenzione, aveva straziato i pensieri. Era pero’ rimasto poco approfondito.
I just received an alert, but I haven’t had chance to read. Is there any victim?” fu la mia risposta al primo messaggio, quello semplice.  
Il secondo messaggio, più complesso, quasi non lo ricordo. Ricordo molto di più il colore della moquette, la distanza tra me e il muro, quella targhetta in ottone con scritto “500”.
Perché quando l’emozione è troppo forte non riesco a pensare e mi muovo per immagini. Quel messaggio rimbombava nella mia testa.
27.
Ero seduta alla mia scrivania, immobile.
E quel senso di abitudine?
Riuscivo a pensare e a dire davvero poche cose, sconclusionate, sconnesse.
Eppure quel senso di “abitudine” brutale, disumano, indegno, per un attimo lo avevo sentito, il tempo di prendere l’ascensore, prima che arrivassero i dettagli, ma comunque era stato li, vergognoso.
Da dove veniva?
Dall’ “ordine naturale delle cose”, perché è loro cultura.
In Italia c’e’ la corruzione congenita in politica, in America le carneficine nelle scuole, nei mall.
Il possesso di un’arma da fuoco è in parte legato al concetto di “libertà”, molto più di quanto si pensi. Forse perché è semplicemente impensabile in Europa.
Ci sono le lobby, c’è la destra conservatrice, c’è il secondo emendamento della Costituzione che ribadisce il diritto ad armarsi.
Dice Cliff Stearns, parlamentare Repubblicano e avvocato del diritto alle armi:
Not only is the right to be armed a Constitutional right, it is also a fundamental natural right.
D’altra parte, Larry Pratt, direttore esecutivo del Gun Owners of America commenta:
“Gun control supporters have the blood of little children on their hands. Federal and state laws combined to ensure that no teacher, no administrator, no adult had a gun at the Newtown school where the children were murdered. This tragedy underscores the urgency of getting rid of gun bans in school zones.”
Una questione culturale. Un’evenienza, con cui tecnicamente potremmo anche dover fare i conti, secondo la legge delle probabilità.  
Anche la follia, come la libertà, trova il suo posto nell’ordine naturale delle cose.
La libertà di esser folli. Prendiamola così. E’ difficile, difficile, impossibile da spiegare, da accettare.
E’ un paese che dovrebbe cambiare, ma la sua natura riflette questo: uno scherzo, una tragedia, un dramma, rientra nel senso più ampio della vita, dove tutto può accadere e c’è davvero poco che si possa fare.
Scrive Gregory Gibson sul New York Times, in memoria del figlio 18 enne, perso il 14 Dicembre del 1992 proprio a causa di una sparatoria avvenuta presso il Simon’s Rock College in Massachusetts.
I came to realize that, in essence, this is the way we in America want things to be. We want our freedom, and we want our firearms, and if we have to endure the occasional school shooting, so be it. A terrible shame, but hey — didn’t some guy in China just do the same thing with a knife?
La verità è che:
More horrible still is the inevitable lament “How could we have let this happen?”
It is a horrible question because the answer is so simple. Make it easy for people to get guns and things like this will happen. Children will continue to pay for a freedom their elders enjoy.
L’economista Justin Wolfer ha usato invece twitter per condividere il suo punto di vista:
Let's not talk about gun control. It's too early, right? It's always too early. Except when it's too late.
E l’Economist commenta:
It is too late for gun control in America. It's never going to happen.
So this is just what one of America's many faces is going to be: a bitterly divided, hatefully cynical country where insane people have easy access to semi-automatic weapons, and occasionally use them to commit senseless atrocities. We will continue to see more and more of this sort of thing, and there's nothing we can realistically do about it.
It is too late for gun control in America. It's never going to happen.

Questo è ancora più vero alla luce dei recenti sviluppi delle indagini.
Un ragazzo ventenne, autistico, tre armi da fuoco di proprietà della madre, legalmente denunciate. La prima vittima è stata proprio lei.
Che amava le armi. Come molti nella piccola comunità del Connecticut. A volte portava i figli al poligono a sparare.
When some people who live near the elementary school heard the shots fired by Mr. Lanza on Friday, they said they were not surprised.
“I really didn’t think anything of it,” said a resident, Ray Rinaldi. “You hear gun shots around here all the time.”
E’ impossibile giudicare la storia di questa famiglia.
E’ meglio lasciare alla storia di ieri questi atroci avvenimenti, e provare ad andare avanti, dover andare avanti, cercando di non abituarsi, rifiutando un “ordine naturale delle cose” che dovrebbe non avere il diritto di esistere.

**Non è senso di spettacolarizzazione. Gli americani hanno un profondo genuino senso di appartenenza e di condivisione, che non viene intercettato da una disgustosa morbosità. Si stringono, nella gioia e nel dolore, ed essendo un paese tanto grande, la loro unione e la loro condivisione è possibile anche grazie ai media.
Da qui la pagina web del New York Times. 

domenica 21 ottobre 2012

Aurora


Aveva quattro armi da fuoco. Una pistola, due semiautomatiche, un fucile con caricatore a tamburo. 
Ventiquattro anni e una casa piena d'esplosivo. 
Il lungo capotto nero e' solo una delle macabre similitudini con Columbine, la tragica vicenda avvenuta tredici anni prima a soli 30 km di distanza.
A New York il permesso d'armi non e' concesso con uguale leggerezza, e forse, mi consolo, certe malattie della mente si avventano solo nel mezzo del nulla. 
Ma la sensazione e' sempre la stessa, quando ci si ritrova in situazioni "sensibili”: al parco, in metropolitana, al mall, insieme ad altre duecento persone: e se capitasse adesso, qui e ora? 
Orrore collettivo a cui la cultura televisiva americana ci ha quasi abituato.
Qualcuno ha commentato che se in quel cinema altre persone fossero state armate, forse, facendo fuori il killer, alcune vite sarebbero state risparmiate. Bentornato far-west. 
Io dico che l’America ogni mattina si guarda allo specchio e vede il riflesso di un prezzo da pagare per quella liberta’. Conti aperti con le proprie convinzioni. 
Evidentemente l'America ha un problema.

Pubblicato su A

mercoledì 17 ottobre 2012

Vietato barare


Sulla porta della classe, una targa in ottone mostra i dettami della “condotta accademica”, mette in guardia i maleintenzionati da ogni tentativo di plagio o menzogna. 
Viene lucidata ogni mattina.
E’ un’onta clamorosa, in America, quella che ricopre studenti (ma anche politici, attori, giornalisti e comuni cittadini) rei di aver imbrogliato per ottenere un vantaggio, con un “copia-incolla” o – molto peggio - un plagio. 
L’argomento è caldo perché al Stuyvesant, il liceo pubblico più prestigioso e selettivo di New York, moltissimi studenti hanno ammesso la colpa. Lo scandalo è scoppiato laddove a copiare non erano gli studenti più ignoranti, bensì i più promettenti, i primi della classe, insomma quelli che in Italia non copierebbero mai. 
Hanno copiato perché un mezzo voto in più o in meno determina il college a cui verranno ammessi, incidendo enormemente sulla loro vita e sul loro futuro. La pressione che ricevono dalla scuola e dalla società è alta, devono esserne all’altezza. 
Ma se l’imbroglio è scoperto, la carriera – giocata su un test - è inevitabilmente compromessa.