domenica 15 maggio 2011

Una semplice scoperta



Nacque cosi' la nostra amicizia, inaspettata, infelice, sorpresa. Grazie ad una tazza di caffe'. 
Alcune amicizie nascono piano e ancora piu’ lentamente crescono, per accidenti, timidezze, diffidenze.
Io diffidavo. 
Seppure non abbia prestato orecchio a certe storie ne' a pregiudizi che scondinzolano come code di cane, certe cose ce le portiamo dentro. 
Volenti o nolenti (o dolenti). Sono li’, annidati, nascosti, gli arcani timori.
Siamo adulti e vaccinati, e sappiamo che a New York nessuno e’ straniero, perche’ in fondo ognuno lo e’.
Ma una donna col velo fa sempre il suo effetto.
Rinchiusa in gabbiottino di metallo fumante, silenziosa, solitaria: quanto basta.
Il volto coperto, lo spazio racchiuso: quanto basta.
A trasalire.
Forse non avevo mai conosciuto una donna musulmana. Forse non sapevo immaginare chi fosse, ne’ perche', ne’ cosa avrebbe potuto rispondermi. 
Per me era l’afgana col burqua, la cecena con l’esplosivo.
Un volto coperto, di uomo o di donna, cela l’individuo e ostacola l'empatia, annulla il contatto e lo sguardo non sa dove cadere.
Nella consapevole ignoranza, rimanevo diffidente.
Finche' un giorno non aprii alla realta': un gabbiottino di metallo, all'angolo tra Lexington e 57th, non puo' far del male! Un caffe' fumante al prezzo di $1, sulla strada tra la metro e l'ufficio, non puo’ essere una minaccia!
Ruppi l’indugio.
Il caffe’ era buono, sano pentimento di mattine assonnate. “Senza zucchero/in tazza piccola/con latte”, fu la consueta filastrocca, e lei la imparo’ presto, tanto da poter darmi “il solito” con uno sguardo.
In realta’ la prima volta non so neanche se la guardai.
Forse il tempo di vedere che la gonna marrone si intonava con il velo a fiori, porgere il dollaro alla finestra, avere la fretta di mescolarmi al traffico del mattino.
La seconda volta forse un po’ di piu’.
La camicetta verde pan-dan col velo ricamato, le mani veloci, il sorriso generoso.
Ma quel che piu' mi colpi' fu il coperchio.
Come ogni caffe' che si rispetti, il bicchiere di cartone richiede un coperchio, sottile tappo in plastica bianca. Presenta una linguetta, che si solleva e si fissa all'indietro, permettendo cosi' di sorseggiare il caffe'*.
In tre anni, centinaia di caffe' e molte linguette, tutti i coperchi hanno sempre presentato caratteristiche comuni: anonimi, asettici, decisamente antiestetici.
Tutti, tranne uno.
Il coperchio della donna velata era diverso: aveva un orsetto.
Si', un orsetto.
Una sagoma di orsetto disegnata, un fantasioso bassorilievo al di sopra della linguetta, che veniva poi coperto quando questa andava su.
Rimasi colpita da quel coperchio a orsetto, e dimenticai il caffe’. Come un messaggio in una bottiglia, come un qualcosa di chiaro da sempre. 

Sciacquai il coperchio, lo asciugai con cura. Lo avvolsi in un fazzoletto di carta, lo riposi nel cassetto.
Come un segreto da custodire, come un messaggio in codice, lo conservai.
La donna che mi spaventava (l’Islam che minaccia l'Occidente) utilizzava tappi a forma di orsetto.
Inverosimilmente vero.
Un orsetto sorridente per giunta, placido e sereno, che dopo averlo visto, spunta il sorriso. 
Non so se la donna velata fosse consapevole dell’orsetto. Forse lo aveva scelto tra mille, un coperchio tra campioni di coperchi, un orsetto per ogni cliente.
O forse, piu’ probabilmente, le era stato mandato per caso, con il nuovo ordine di coperchi, tappo tra i tappi, tappo ordinario. Ma non sono a volte i motivi a fare da conto, bensi' la realta’ delle cose, le forme che la realta’ stessa puo' prendere. Ad esempio una forma ad orsetto.
La donna col velo rinchiusa nel baracchino metallico del caffe'; la donna metallica rinchiusa nel gabbiottino velato del caffe', era l'orsetto. 
L'orsetto per me.
Rimasi a fissare quel coperchio bianco sulla scrivania molto a lungo, quella mattina.
Lavato-pulito-asciugato, sdraiato sulla mia scrivania.
Un coperchio, un sorriso, un orsetto.

Quella mattina ho capito molte cose.



*Nella ampia tipologia di coperchi di caffe', categoria al quanto americana, ne esistono di piu’ robusti, sprovvisti di linguetta ma dotati di un piccolo buco ovale, dove posare le labbra e sorseggiare. Sono piu’ solidi, sofisticati – talvolta hanno in dotazione una asticella tappa-buco, ma qui ci addentriamo nei rami dell'alta tecnologia della confezione del caffe', e non potete certo avere la pretesa di ottenere tutto questo con un sol dollaro.

lunedì 2 maggio 2011

La morte di Osama

Una tranquilla domenica di maggio, cenetta a casa e chiacchere tra i fornelli, vino e confidenze tra sorelle.
Improvvisamente, sbianco in volto, mi irrigidisco e perdo la voce. Mia sorella con apprensione che domanda: “E’ tutto OK?”. 
No, non e’ tutto OK. 
C’e’ quel nome sullo schermo, fa quasi paura: Bin Laden, ucciso, Abbotabad, Pakistan.
In una serata cosi’ intima e familiare, la notizia della morte di Bin Laden e’ come un’esplosione nell’aria, una nuvola densa che appesantisce il cielo, e rimescola il sangue dell’America.
L’America non ha mai dimenticato, l’America e’ ferita. 
Ma stanotte l’America festeggia, come mai avrei immaginato. 
Obama parla al mondo da Washington e una folla giubilante si ritrova davanti alla Casa Bianca.
Ground Zero e’ gremita di gente, parenti delle vittime, anziani e studenti che quella mattina erano solo bambini.
Abbracci, canti, urla, bandiere. "U-S-A! U-S-A!". Sembra la vittoria dei Mondiali, invece e’ un colpo inferto al cuore e alla mente del terrorismo.
Sara’ difficile addormentarsi questa notte, con l’America che canta dalla gioia. 
“Vivo o morto” era l’ordine, e stanotte Obama afferma:
Giustizia e’ stata fatta.


DIARIO#33 PUBBLICATO SU A N.20 19/05/11