lunedì 29 novembre 2010

Live, Work, Create.



Questa foto e’ stata scattata a Carroll Garden, pittoresco quartiere della profonda Brooklyn, ricco di vento e romantici tramonti, in una delle tante gite “fuori porta” che riempivano le fredde giornate prenatalizie.
Carroll Garden appartiene, assieme ad altri due quartieri, ad un’area piu’ ampia e dai confini indefiniti, chiamata BoCoCa, secondo la maniera Americana di abbreviare qualsiasi nome, preferendo le sigle alle parole.
La strada principale, Smith Street, e’ un lungo rettilineo colorato, pieno di ristoranti, mercati di antiquariato, polverosi negozi di vinili e antiche pizzicherie dal sapore italiano.
Riempie gli occhi di colori e di curiosita’.
Mentre volgevo le spalle al tramonto, risalendo verso est e affrontando il vento, tre parole, semplici, chiare, scritte su un muro, mi colpirono. Solo tre parole.
Non un murales in bianco e nero ne’ un’esortazione di artisti di strada.
“Live, work, create” e’ infatti lo slogan di una marca di abbigliamento, la Brooklyin Industries, brand giovanile con venature chic.
E lo spirito Americano emerge laddove un brand non e’ teso solo a catturare l’attenzione, ma vuole bensi’ comunicare – anche attraverso la pubblicita’ – qualcosa che lo rappresenta e in cui crede, con onesta’.
L’importanza dell’esperienza, tenere gli occhi ben aperti, l’orecchio sempre teso a suoni, richiami, scricchiolii; farsi coinvolgere dagli eventi e dalle persone, dalle parole e dagli incontri: Live.
L’impegno e la serieta’ delle intenzioni, mettersi alla prova per migliorare il mondo ma prima di tutto se stessi. Studiare, capire, approfondire, produrre, realizzare: Work.
Esprimere se stessi e riprodurre quel che siamo, materializzandoci in artefatti; giocare con la conoscenza e con la storia, con parole e nozioni, arricchirle del nostro vissuto. Sognare il futuro, mescolare il passato, tingere il tutto con immaginazione e fantasia: Create.
Ma queste parole rischierebbero di rimanere sterili tratti in tinta nera, fermo imagine immortalato su un muro, se non fossero raccolte e riempite di senso, custodite o ricondotte alla realta’ di ogni giorno, di ogni gesto.
Il ragazzo con la giacca rossa, sfugge all’obiettivo continuando nel suo cammino, prosegue nella strada in discesa incontrando il tramonto.
E con il suo movimento cattura le lettere e le incorpora tutte: perche’ lui Vive, Lavora, Crea.


venerdì 26 novembre 2010

Thankful


Timido pennuto dall'aria distratta, succulento volatile di regale stirpe, il tacchino e' l'indiscusso protagonista del novembre americano: ruba la scena alla zucca, lascia nell'ombra Babbo Natale. Dal mercatino naturale di Union Square fino agli eleganti supermarket dell'Upper East, il tacchino la fa da padrone, spunta dalle vetrine come una diva dalle riviste patinate. Attorno a lui un rituale di adorazione: scuole apposite insegnano a riconoscerne l'origine ruspante, a seconda di color di piuma o consistenza di coscia. La macchina del Thanksgiving si mette in moto: non solo la ricerca del tacchino perfetto, ma anche il succulento contorno di stuffing al mirtillo o noce tostata. E mentre il pennuto e’ ricoperto di mille attenzioni, fuori dalle case, nelle strade, ha luogo la parata piu' improbabile: sulla Broadway sfilano mastodontici palloni gonfiati, niente a che vedere con le processioni dei santi: i puffi, Hello Kitty, l’uomo ragno sono i protagonisti. I new yorkesi estasiati restano col naso all’insu’, mentre il tacchino arrostisce nel forno. A loro modo, gli Americani ringraziano.


domenica 7 novembre 2010

Maratona

Una fredda mattina di novembre, la nebbia avvolge il Verrazzano bridge, Brooklyn sembra quasi un miraggio.
Dall'altra parte del ponte, sull'isola di Staten Island i corridori della maratona aspettano. Sono 37 mila, arrivati da tutto il mondo, saltellano per il freddo e la tensione. Solo i battiti del cuore rimbombano nel silezio ovattato del ponte sospeso.
La célèbre maratona di New York non e' solo una sfida contro se stessi, e’ anche metafora del rapporto con la citta’: New York offre mille opportunita’, ma e’ una citta’ da conquistare, centimetro dopo centimetro.
Snodandosi tra cinque quartieri, la maratona lega diverse culture: gli ebrei ordotossi di Brooklyn, gli italoamericani del Bronx, la comunita’ indiana di Jackson Heights. Gli altoparlanti annunciano vittorie e ritiri in tutte le lingue del mondo, il pubblico e’ presente e generoso: offre sostegno e canti gospel per alleviare la fatica.
Il traguardo e’ il cuore verde di Manhattan. A chi pirma arriva vanno i 600 mila dollari in palio. Gli alteti, sfiniti di gioia e di fatica, si lasciano cadere nell’erba, riprendono fiato al fresco dei prati, nei campi di fragole di Central Park.