mercoledì 21 settembre 2011

noveundici


Beverly racconta una storia delicatissima, come il petalo di una rosa dentro al palmo di mano, come la voce di Sean l’ultima volta che l’ha sentito, il modo in cui l’ha immaginato - i capelli ricci la giacca marrone - o i ricordi che si sono scambiati, al telefono, attraverso un filo. Racconta la sorpresa nel sentire la voce di suo marito “così calma e composta”, l’amore che lui ha mostrato fino all’ultimo: “Fa male?” “No.” 
Mentiva.
Hanno scelto di smettere di capire quando hanno capito che non c’era più niente da fare. Hanno scelto di iniziare a ricordare quando l’amore era tutto ciò che rimaneva. 
Davvero. 
La fortuna che avevano avuto nel trovarsi, le vacanze in Europa, le domeniche in bicicletta, quella stanza in affitto. Un armadio blu.

I ricordi sono come ali per volare via, fuori da tutto, dalla morte, dall’ingiustizia, dal dolore, fuori da quel casino, fuori dalla disperazione.

Sono le 9:30 dell’11 settembre 2001 quando squilla il telefono, per la seconda volta. E’ Sean, Beverly e’ felice.
Dura un attimo. 
“Sei fuori?” No. Sono al 105esimo piano.

Davanti al fumo per le scale o ad una porta chiusa sul tetto, Sean rimane calmo, impassibile, lucidissimo. La porta l’ha presa a spallate. “Provaci ancora”, insiste Beverly. E’ inutile. 
Allora si mettono ricordare, anche quando il fumo invade la stanza e i vetri si fanno incandescenti. 
Legati da un filo, mano nella mano, Beverly non piange, non grida; Beverly rimane lì a parlare con Sean, con la forza che solo l’amore e il ricordo le possono dare.



Beverly Eckert e' una delle "vedove" degli attacchi dell'11 Settembre. Nel crollo delle Torri perde il marito Sean, che lavorava all'89esimo piano. 
E' scomparsa anche lei, vittima di un incidente aero avvenuto a Buffalo, NY il 13 Agosto 2009.


PUBBLICATO sul N.39 del 29 settembre 11 di A "Ultima chiamata"  ...più o meno.

martedì 6 settembre 2011

I sogni di Las Vegas


Camminando lungo la Strip, tra lustrini colorati ed insigne al neon, tra la Torre Eiffel e una Piramide egizia, mi guardo intorno e ho tante domande: 
perché detestavo questo posto e ora mi trovo felice a guardare un finto Lago di Como?  
Quanto mi hanno cambiato tre anni di America?
E quale è, alla fine, il senso ultimo di Las Vegas?
Città di casinò e spogliarelliste, con un mondo in miniatura e chiese immacolate in cui sposarsi in dieci minuti, Las Vegas è un parco giochi per adulti, con lampioni-altoparlanti che diffondono ininterrottamente la voce di Elvis.
Gli Americani, amanti dell’arte (o del trash?) adorano passeggiare tra il Ponte di Rialto e la Vittoria Alata, mentre nei casinò che odorano di sigaro e Pina Colada, croupier stanchi mescolano le carte, continuando a sorridere.
Torneranno alle loro case nella luce del mattino, in quelle decine di villette a schiera alle pendici delle montagne, verso il deserto del Nevada. I giocatori incalliti invece rimangono lì, attaccati alle slot machine, fino alla file dei soldi e dei desideri, sognando il jackpot e forse una casa sul Canal Grande (quello vero).
E’ qui, sul tappeto verde di un tavolo da poker, che il sogno americano si infrange.

PUBBLICATO sul N.30 del 28 luglio 11 di A "A qualcuno piace trash"

giovedì 1 settembre 2011

semaforo rosso


Annie aveva calcolato tutto, studiato il percorso, puntato la meta.
Sapeva quanto tempo era necessario per raggiungere il marciapiede, dal deli alla metropolitana.
Questione di attimi, di quella mano rossa che iniziava a lampeggiare.
Se iniziava all'altezza della cassa di arance, si poteva camminare come nulla fosse, indifferenti alle macchine, continuando a leggere il giornale.
Se il rosso scattava all'altezza dei cocomeri, era richiesto un certo slancio, piccola corsetta scomposta, sguardo alto per studiare la traiettoria e scansare i passanti.
Se il semaforo già lampeggiava all'altezza dell'impalcatura, c'era poco da fare: 
impalati, si saltava un turno. Prontezza di riflessi, spirito di osservazione. 
Annie sapeva riconoscere l'arrivo dei treni, dallo spostamento d'aria nella stazione, dal fischio che si incanalava dentro le scale, dalla vibrazione sulla banchina. 
Adesso niente è più come prima. 
I semafori fanno il conto alla rovescia, gli schermi riportano i tempi di arrivo previsti, e un led rosso è più veloce del fischio dei treni.
E' rivoluzione tecnologica nella metropolitana di New York, sconfitta di ritardi, giubilo dei viandanti, vittoria di comodità.
Trionfa la pigrizia, soccombe la fantasia: Annie, di quella cassa di arance sul marciapiede, non sa più che farsene.