Nessun dorma a Zuccotti Park.
Le tende azzurre non ci sono più, i ragazzi di Occupy
Wall Street tornano a casa a passare la notte.
Per due mesi gli indignati americani hanno occupato la
piazza, protestando contro corruzione e crisi finanziaria, lobby d’interessi e
ricchezza elitaria, creando un fenomeno senza precedenti a New York. Da un
rettangolo di cemento questa voce si è espansa in tutto il mondo.
Adesso le cose sono cambiate: gli indignandos non possono
più accamparsi e dormire a Zuccotti Park, solo ritrovarsi come semplici
passanti che si incontrano e discutono. Ora che le tende sono state sgomberate,
assieme ai sacchi a pelo e ai materassi che invadevano la piazza, riusciranno i
ragazzi di Occupy Wall Street a continuare la loro protesta pacifica contro
l’ingiustizia sociale?
I manifestanti continuano a ritrovarsi sotto i raggi
rossi di Joie de Vivre, una scultura
in metallo sul lato sud-est di Zuccotti Park. Cala la sera e con essa il
silenzio, ma è un silenzio forte, pieno di speranze, il silenzio di chi non si
arrende.
Sono le sette e l’Assemblea Generale ha finalmente inizio.
“Mick check! Mick check!” grida una voce. “Prova
microfono”, ma qui di microfoni non ce ne sono. La voce di una persona sola,
ripetuta e amplificata dalle tante voci di Occupy Wall Street, conquista la
piazza. L’eco accende l’atmosfera: “Siamo il 99%!” E’ una spazio democratico
questo, senza leader, senza gerarchie.
Ma chi sono questi ragazzi? Chi c’è dietro la voce
unanime che ripete senza sosta gli slogan del movimento? Chi si nasconde dietro la maschera di Anonymous?
Dana ha 17 anni, tante lentiggini su un viso pulito,
l’aria imbronciata di chi ha già visto un mondo che gira storto.
Ha preso il treno da Patchogue, nella Contea di Suffolk,
Queens, ed e’ venuta a Zuccotti Park per rivendicare i propri diritti di liceale.
“Voglio prendere parola all’Assemblea Generale, dire basta a privilegi di
pochi, a corruzione e iniquità. C’è un insegnamento di serie A e uno di serie
B, e la mia educazione ne è penalizzata”. Stasera Dana gridera’ “Mick check” e
tutta la piazza, in coro, parlerà con lei.
Sonny se ne sta in disparte, i capelli avvolti in un
turbante blu. Ha una laurea in Educazione e Giustizia sociale, si interessa di
musica e coesistenza tra popoli.
“Ho subito molte discriminazioni nella vita, ora voglio
un mondo più equo. Conduco una lotta non violenta contro il capitalismo e le
multinazionali, contro la divisione tra ricchi e poveri, contro ogni forma di
prevaricazione, come questo sgombero: noi non ci arrendiamo”.
Sonny non ha mai passato le notti a Zuccotti Park, preferendo
tornare a casa. “Ma ogni mattina sono sempre qui, per contribuire fisicamente a
questo movimento. Andiamo avanti con la nostra disobbedienza civile”.
L’importante è esserci.
Capelli riccioli che spuntano da un cappello calato
all’indietro, Alik sembra il ragazzo pulito del Texas, cresciuto tra bufali e
prateria. Invece è un ragazzo di Brooklyn, nato non lontano da qui.
A Zuccotti Park lucidava scarpe per racimolare qualche
dollaro. Che cosa farà adesso che il villaggio in miniatura degli indignados è
stato spazzato via? “Questa e’ stata come una casa per me, mi sono fatto tanti
amici e ho trovato qualcuno che puo’ ospitarmi. Ma sono deciso a ritornare qui ogni
giorno”.
Il lucido da scarpe e’ sempre li’. Alik parla, discute e fa
business a Zuccotti Park. Nel tempo libero protesta.
Avi è un attivista e aspirante scrittore di Honolulu che
ha rivestito un ruolo importante nei due mesi di occupazione.
E’ un ‘facilitator’, un arbitro sopra le parti che modera
i momenti di discussione. Al tramonto riporta quanto detto all’Assemblea
Generale.
“L’Assemblea è il vero momento di incontro del popolo di
Occupy Wall Street, un momento necessario, in cui le tante voci di Zuccotti
Park si uniscono”.
Alik e Avi, entrambi indignati, appartengono alla stessa
piazza, eppure non potrebbero essere più diversi. Rappresentano una
contraddizione tutta interna a Occupy Wall Street, che si risolve nella
comunione di intenti: continuare la protesta. Forse non si sono neanche mai
incontrati.
Avi parla di coesione: “E’ importante che ci sia
democrazia di idee: nessun leader, nessuna struttura, non un portavoce. Siamo
tutti leader, e così disorientiamo media e autorità”.
La polizia, infatti, ha incontrato non poche difficoltà a
trovare un interlocutore. I tentativi di compromesso politico sono naufragati
di fronte al rifiuto di eleggere un portavoce dei manifestanti. Questa impossibilità
di confronto è stata una dei fattori che ha convinto il sindaco Bloomberg della
necessità di sgomberare. Quando i poliziotti distribuiscono i volantini con le
nuove regole e i nuovi divieti, i manifestanti li trasformano in origami.
La protesta di Wall Street, priva di leader e di
gerarchie, ha in realtà due fondatori.
Ispirata dalle Primavere Arabe, dall’occupazione di
piazza Tahrir al Cairo, e dagli indignados di Madrid, ‘Occupy Wall Street’
nasce dalla mente di David Graeber e di Kalle Lasn.
Antropologo statunitenste con aspirazioni anarchiche, Graeber
e’ docente al Goldsmiths College di Londra nonché autore del libro “Debito: I
Primi 5,000 Anni”, un’inusuale analisi sullo scambio e sul valore. E’ stato lui
a creare lo slogan “We’re the 99%” che unisce sotto un’unica bandiera le
proteste di tutto il mondo.
Lasn e’ il fondatore di Adbuster, rivista anticonsumista
canadese, che ha lanciato, alla meta’ di Luglio, l’appello ufficiale ad occupare
Wall Street. Adbuster ha fissato luogo e data, 17 Settembre, ma e’ stato poi
Graeber a guidare il movimento, conducendolo a Zuccotti Park.
Lungo il marciapiede est della piazza i manifestanti
alzano cartelli contro i banchieri, quell’1% che dalla crisi ha tratto
profitto.
Dietro ad un tavolo coperto di volantini, incontriamo
Nathan, un ragazzo del Texas che si è unito alla protesta da poche ore. “Questo
sgombero ci ha reso solo più forti”. Nathan è un web designer freelance di
scarso successo - colpa della crisi, dice - che si guadagna da vivere con
qualche lavoretto qua e là. Dorme nel suo camper per non pagare un affitto che
comunque non potrebbe permettersi. Una vita itinerante la sua, da Austin fino a
Zuccotti Park. Risponde con disarmante schiettezza alle nostre domande: “Temete
l’inverno?” “Nient’affatto, non lasceremo la piazza. Zuccotti Park è un simbolo
e noi, che siamo il 99%, apparteniamo a questo posto. New York è il centro
nevralgico di questo movimento, ed io volevo esserci”.
Poco distante c’e’ Bill, docente all’Università di Pittsburgh,
ora al suo anno sabbatico, confessa di aver avuto qualche perplessità quando il
movimento è nato. L’organizzazione nebulosa non prometteva un progetto di lunga
durata. “Poi ho visto alcuni video su youtube in cui i poliziotti aggredivano i
manifestanti durante la marcia a Times Square. Ho anche guardato il sito web di
Occupy Wall Street, ho trovato un programma più definito e ho capito che le intenzioni
erano serie. Così ho deciso di unirmi alla protesta”.
A Zuccotti Park, Bill era volontario presso la libreria,
un altro piccolo simbolo di autogestione democratica che è stato smantellato
assieme alle tende. Stesse sorte è toccata alla mensa, al centro informazioni e
alle bancarelle dei vestiti usati.
Dopo un giorno passato tra le voci e le diverse realtà
che compongono Wall Street, rimangono però molte questioni irrisolte.
Come verrà indirizzata la protesta ora che la piazza è
stata sgomberata? Quale sarà il prossimo passo? E soprattutto: riuscirà Occupy
Wall Street a superare l’inverno?
Le voci dei protagonisti di sovrappongono e si mescolano,
non riuscendo però ad unirsi in una richiesta chiara, logica, mirata. Un punto
di forza, dicono in molti, eppure è la piazza stessa ad accorgersi di come l’indeterminatezza
costituisca un pericolo.
“Stasera l’Assemblea cercherà di definire un’agenda” spiega
Bill, che forse di tanta pluralità inizia solo adesso a vedere il limite.
Su un solo punto tutti sembrano essere d’accordo: questo è
solo l’inizio.
Photo Credit: Davide Bernardi | www.davidebernardi.it
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