venerdì 18 maggio 2012

Intervista a Emiliano Ponzi


10 x 10 è uno spazio bianco, candido come la luna che splende fuori dalla finestra, piccolo come un pensiero appena nato ma già pieno d’immaginazione, una pagina da riempire di colore e tratti a matita. 10 x 10 è anche un piccolo appartamento a Milano, dove ha inizio un sogno che piano piano si schiude e diventa realtà, il talento di chi riesce a trasformare un’idea in disegno, semplice ed essenziale.
E’ lì che, nel 2001, la passione di Emiliano Ponzi comincia a prendere forma e colore. Non ci sono maestri, non ci sono percorsi prestabiliti da seguire. Solo l’immaginazione, il coraggio e la tenacia di chi ha deciso di voler fare dell’illustrazione il proprio mestiere.
Oggi, a dieci anni di distanza, Emiliano celebra questa sua “passeggiata” con un libro, intitolato appunto 10 x 10. “Quel libro,” racconta lui, “rappresenta gli sforzi per rendersi visibile e la motivazione di lavorare in qualcosa in cui si crede. La stanza in cui ho abitato è stata un involucro utile per concentrarmi e costruire la prima parte del mio percorso”. Eppure, lavorare in un ambiente domestico, o al di fuori della mura di casa, non fa molta differenza: “10 x 10 è più che altro uno spazio mentale”.
Per noi, invece, 10 x 10 è decisamente qualcosa di più. E’ una finestra che ci da la possibilità di affacciarci sul suo mondo di illustratore e vederlo all’opera. E’ l’officina di un tecnico del tratto e del colore, della fantasia tradotta in disegno. Ed è per questo che il libro raccoglie, oltre ai disegni, una presentazione quasi astratta dell’artista, un percorso del tempo che ha passato disegnando per vivere, nonché tanti frammenti (esilaranti!) delle email di lavoro scambiate con i suoi committenti.
I clienti sono tanti e importanti, dal New York Times al Guardian, da Le Monde a La Repubblica, passando per l’Economist, Newsweek, Mondadori, Feltrinelli, Penguin Books. I riconoscimenti non si fanno attendere: ecco il Young Guns Award conferito dall’Art Directors Club (ADC) di New York, la medaglia d’onore dalla Society of Illustrators (New York e Los Angeles), l’Award of Excellence della rivista Print, e ancora i premi conferiti dalla rivista 3×3, dagli International Design Awards della rivista How, dai Communication Arts Illustration Annuals e dagli American Illustration Annuals. “Ogni tributo è una grande soddisfazione. Quello che ricordo con più felicità e’ l’ADC Young Guns che vinsi nel 2008. E’ un premio che viene assegnato ai migliori comunicatori under 30″.

La storia dietro all’immagine: “Say Her Name si riferisce al testo autobiografico dello scrittore Francisco Goldman: poco dopo il matrimonio con una donna più giovane, durante una vacanza, la sposa affoga in circostanze misteriose. Tutto il testo è la descrizione di questo amore perduto, ritratto di una creatura talmente unica da sembrare quasi aliena in questo mondo. Ho voluto rappresentare il commiato della moglie, dove l’abito da sposa e le onde del mare si confondono, creano un’unica massa bianca. Il marito inerme la guarda dalla riva come si guarda una nave che prende il largo per non tornare”.
Ora il New York Times, uno tra i clienti più longevi e affezionati, dedica al lavoro di Emiliano un’esibizione all’interno dell’edificio che ospita la sua redazione, a due passi da Times Square. E’ li che abbiamo avuto il piacere di incontrarlo. Ed è lì che è nata questa intervista. Con una prima, inevitabile domanda: come si mette in moto una carriera così fortunata, globale e fulminea?
Tutto è cominciato in bianco e nero, spiega lui. Emiliano inizia a disegnare senza toccare mai i toni dell’arcobaleno: “Non avevo fatto studi specifici e i colori mi spaventavano: troppi, troppe variabili”. Il bianco e nero gli appare più semplice, più pulito, più vero. Poi arriva l’Istituto Europeo di Design (IED), lo studio della tecnica, e così anche il colore diventa uno strumento, in una normale evoluzione del disegno a matita.
Benissimo, ma da qui a ritrovarsi a lavorare per alcune delle testate più prestigiose del mondo il passo è lungo. O no? “Quando si decide di trasformare la passione in lavoro, il talento non basta,” dice ancora Emiliano. “Bisogna strutturare, fare progetti a lungo termine, promuoversi. All’inizio è più difficile, ma se si prova a buttare il cuore oltre l’ostacolo, poco per volta ci si irrobustisce, trovando poi il coraggio di proporsi ai clienti più grandi”. Emiliano fa partire tante email, piene di disegni e speranze, come piccioni viaggiatori. Alcune si perdono per strada. Ma molte altre ritornano, piene di messaggi di ammirazione e apprezzamento, con lusinghieri inviti ad intraprendere un nuovo viaggio. Da qui hanno inizio le prime collaborazioni.

La storia dietro all’immagine: “Unjust Justice e’ la vera storia di Obie Anthony, imprigionato per diciassette anni per una sentenza d’omicidio mai commesso. Durante la pena, Obie non ha mai smesso di credere nella giustizia: l’uniforme da carcerato rivela abiti civili quando illuminata dalla luce che penetra dalla piccola finestra della cella”.
E qual è la chiave per trovare l’idea giusta? “Uscire da se stessi e stupirsi. Ovviamente lo sguardo del committente è sempre presente. In questo mestiere è difficile andare totalmente a briglia sciolta, anche se nella maggior parte dei casi questo non è un limite, ma piuttosto un modo per indirizzare la creatività verso un obiettivo.” La vera sfida è quella di trovare metafore visive sempre nuove, semplici ma al tempo stesso universali, capaci di parlare a tutti. “L’universalità è la componente più importante della mia professione: quando un’immagine ha un significato anche per chi non conosce il tema a cui si riferisce è una grande vittoria.”
In alcuni casi è necessario approfondire la materia e i temi richiesti, affinché l’idea abbia attinenza con la realtà. Altre volte si segue l’istinto e la propria fantasia. Molto spesso i due aspetti si mescolano assieme. “Dipende molto anche dal tema trattato. Alcuni argomenti sono più didascalici, dunque è più complesso immaginare oltre certi confini. In questi casi mi capita spesso di passare più tempo a cercare che a disegnare. Anche il modo in cui le idee arrivano può essere forzato. L’ispirazione da sola non è sempre sufficiente. Così provo a decontestualizzare e a ragionare sul significato della parole”.
I ritmi sono serrati, le ore di lavoro tante. Non esiste una giornata tipo, che si ripete uguale a se stessa. Non c’è routine. Tutta cambia, sempre, a seconda della luce, dell’immagine da creare, delle scadenze e dei colori. Emiliano persegue il metodo come via per l’efficienza: “Sono organizzato come in un ufficio, ma con molti straordinari.” E per staccare la spina? “Il massimo è andare in un posto lontano, preferibilmente dove non parlino la mia lingua”. 
La storia dietro all’immagine: “Divorce With Regre ritrae il rammarico dovuto ad alcuni divorzi “moderni”, decisi troppo in fretta. Figli di una società dei consumi, dove anche il sentimento è qualcosa che brucia velocemente. Usa e getta. Il pentimento viene identificato con l’abbraccio del vuoto lasciato da una persona andata via, laddove prima c’era il suo corpo.”

La tecnica usata da Emiliano per disegnare si basa sull’uso di texture, sulla manipolazione di linee e contorni. Emiliano parte da una veloce bozza analogica, uno schizzo a mano, per poi passare allo schermo del computer, dove la prima idea viene rifinita. “A mano realizzo idee velocissime, quasi degli appunti che poi ripasso in maniera più definita sul computer. La tecnica non è molto importante, è un mezzo per comunicare. Il tratto può essere digitale o analogico, ma quel che conta alla fine è il risultato”. E’ difficile definire quando l’opera può dirsi conclusa: “Si potrebbe andare avanti ad oltranza, perché qualsiasi disegno è sempre migliorabile. Ad un certo punto dico basta, prendo le distanze e mi forzo a mettere un punto”.
Un elemento ricorrente che colpisce nei suoi disegni è quello di certe figure che “prendono il volo”, come i fiori che si sollevano dallo schienale della poltrona su cui è seduto lo scrittore Saramago, o come l’uccello che vola via dall’abito di Elvis Presley (vedi la gallery che segue sotto), o come i cappelli dei collegiali che si staccano dal gambo di un fiore, creando un contrasto tra la compostezza lineare del disegno e queste immagini libere di partire. “Il volo è il sogno impossibile di ogni uomo. Non il volare con aerei o astronavi, quanto la libertà proibita di volare solo con la leggerezza del proprio corpo. Far volare gli oggetti dinamizza molto e riempie i contorni dell’immagine. Il vento può portare il soffione più lontano o far volare il pappagallo in tante direzioni, anche fuori dai bordi”.
Eh sì, caro Emiliano, continua così, a far volare la nostra immaginazione. 

Per maggiori info: http://www.emilianoponzi.com/
Articolo pubblicato su goldworld.it 




domenica 13 maggio 2012

Interview


Schierate come polli in batteria, le donne in cerca di lavoro sono ai blocchi di partenza. E' una guerra la’ fuori.
Tailler, perle, trucco leggero, ma l'"interview" inizia ben prima delle presentazioni. 
Con la scelta della carta, ad esempio.
Il resume', versione anglossassone del CV, deve essere stampato su carta apposita. 
In cartoleria, c'e' un'intera sezione: carta patinata, color avorio, piu' o meno opaca. 
Trovarla e' un lavoro.
Scelta la carta si passa al contenuto: tutta la vita in una pagina.
L'eta' non deve essere mai menzionata, non puo' essere considerata come discriminante.
Il colloquio passa dai toni di un interrogatorio carcerario ad una chiacchierata tra amici: la persona e' vista nella sua totalita'. 
Si parla di soldi (sempre e comunque), di ferie, di benefit, parolina magica che fa brillare gli occhi ai pretendenti.
A colloquio finito, si stringono mani e si scende dai tacchi.
D’obbligo due righe di ringraziamento, mandate poi da casa, su carta da lettere. Senza “thank you note” le belle impressioni vanno in fumo. 
Nel 2012, in America, si ringrazia a mano. 


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Vedi anche: lady at work

giovedì 3 maggio 2012

Ditelo un po' come vi pare



Neanche i fiori potrebbero venire in loro soccorso.
Signore e signori, che ci crediate o no, quando si parla d’amore in America, gli yankees non sono proprio quei galletti che forse qualcuno s’aspettava.
Cercano espedienti per salvare la faccia, qualunque sia l’esito del tentativo di abbordaggio.
Un poliziotto mi chiede l’ID, non proferisce parola, e restituisce il documento assieme al suo biglietto da visita: “call me!” si legge.
Mentre fotografo la spiaggia al tramonto, si avvicina il bagnino per “ispezionare le foto”, un controllo di routine che dovrebbe finire in drink al char di luna. 
Poco savoir faire, molta insicurezza, i newyorkesi ignorano le regole del corteggiamento e si incartano in errori grossolani: sono goffi, ma alla fine, quasi romantici. 
Come quel cameriere del lower east side. Sguardi tra i tavoli, posate che cadono per l’imbarazzo, e al momento del conto, scontrino, numero di telefono e il disegno di una faccina sorridente. 
Hanno proprio tutto da imparare.

mercoledì 2 maggio 2012

!@\#?*&>!


Ha un ginocchio sbucciato ma non fa una piega: John salta come un grillo sulla corda tesa, resta in equilibrio, ma poi e’ di nuovo a terra. 
Siamo in uno dei piu’ prestigiosi campus americani, ma invece di studiare John tende una corda tra un ciliegio e un cipresso, fa pratica di funnambulismo.
E che dire del rombo di rotelle che atterisce i passanti di Union Square: quando i ragazzini volano sui loro skateboard nessuno e’ al sicuro. 
Non pensate di mettervi al riparo sulle panchine di ferro o sui gradini della piazza: sono rampe di lancio.
Anche in metropolitana non c’e’ più pace. Interi vagoni sono presi d’ assalto, e i passeggeri diventano ostaggio di ballerini di break dance. 
Musica a palla, voli pindarici. Fanno capriole in aria mentre il treno sfreccia, poi atterrano con un salto mortale tra le urla e gli applausi della gente.
Ma non giudicateli questi ventenni: loro sono liberi e si divertono (quasi) da morire. 

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martedì 1 maggio 2012

parla come mangi



I pomeriggi afosi d’America rendono assetati, e per risolvere il problema basta un caffe’ ghiacciato: le catene Starbucks e Dunkin’Donuts non tradiscono mai.
Il problema nasce alla vista del menu’: java chip coconut caffe’ o moka cookie crumble frappuccino? Ci vorrebbe un traduttore.
Capisco adesso quel turista americano a Roma, che chiese fiducioso “un latte, please” e si vide arrivare un bicchiere candido senza neanche una macchia di caffe’. “Latte” non significa la stessa cosa a Roma e a New York, e il turista ci rimase molto male.
E che dire della “pausa-caffe'” alla svedese, offerta da una catena di bar di Stoccolma sbarcati a Manhattan: non imbarazza certo un americano ma probabilmente un italiano si’ quando i colleghi esclamano “Let’s have a fika!”.
Alla fine, dal menu’, scelgo un frappuccino alla vaniglia, ma il cameriere mi guarda dispiaciuto: “il frappuccino e’ terminato, ma possiamo offrirti la nuova freschissima bevanda dell’estate: la culata.”
La “culata” e’ una bevanda marroncina all’estratto di caffe’ e caramello, e vabbene che si scrive “coolatta”, perche’ “cool” vuol dire “fresco”, pero’, ecco, io ci sono rimasta male lo stesso. 
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