Un lunghissimo corridoio con dieci scrivanie per lato. Tutte zitte, in fila indiana.
La stanza e' deserta, non vola una mosca. Neanche un filo d'aria a distendere l’atmosfera. Solo il cono delle lampade in metallo disegna dei cerchi di luce sul pavimento. Non c'e' nessuno, adesso.
Domani i venti advisors saranno ai posti di commando, matita alla mano e sorriso smagliante, pronti a trovare la soluzione ideale per gli aspiranti studenti: loro, gli studenti, farebbero qualsiasi cosa pur di rimanere qui.
Le scuole d’inglese a New York sono l'ampio paracadute che assicura il dolce atterraggio e garantisce la permanenza sul suolo americano.
Rilasciano il prezioso visto F1 che legittima il basso livello di insegnamento: si impara poco ma si vive legalmente a New York, secondo un’onesta relazione dare/avere.
Credevo fossero frequentate solo da ragazzini viziati spediti in “vacanza-studio” da mamma e papa’. Mi sono dovuta ricredere.
Laura incontra Gabor a Zurigo, ma dopo appena sei mesi lui viene trasferito a New York. Laura lascia laurea e tirocinio sulle Alpi, si arma di audacia e coraggio e diventa studentessa modello in nome dell’amore.
Il suo compagno di banco, Paulo da Rio, arriva nella Grande Mela per specializzarsi in fumetto, snobba l'insegnante in gonnella e disegna draghi sul banco. Andrea, pochi capelli alle porte degli “anta”, insegue il suo american dream: aprire una galleria, e nell’attesa scrive phrasal verbs alla lavagna.
In fondo, imparare non e’ tutto: la scuola assicura un presente stabile, fino al prossimo visto.
E’ molto piu’ chiara, adesso, la natura di queste scuole: squallidi uffici di collocamento piuttosto che stelle nel firmamento dell’istruzione. Ma ognuno, seduto al proprio banco, pensa ai sogni suoi.
DIARIO#32 PUBBLICATO SU A N.19 12/05/11
DIARIO#32 PUBBLICATO SU A N.19 12/05/11
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